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LA MADONNA DEL DON DEDICATA AGLI ALPINI

di GIANNI MONTAGNI

 

   
   

 

È stato un particolare “giorno della memoria” quello che gli alpini hanno vissuto a Mestre all’inizio dello scorso ottobre, nella tradizionale festa, sezionale e cittadina, della Madonna del Don, Né poteva essere diversamente, perché sempre la riflessione sulle vicende del passato assume particolare intensità quando esse vengono svincolate dal libro dei ricordi e ancorate alla attualità quotidiana.

Tanto più se queste vicende ci appaiono nuovamente vicine, non soltanto per i protagonisti che sono ancora tra di noi, ma per i paralleli inquietanti che il presente sembra agitare.

A maggior ragione la gior­nata si carica di significato richiamando con forza valori che di tanto in tanto appaiono sommersi nella routine quotidiana, se tra la memoria della tragedia del Don e le preoccupazioni attuali per gli alpini in armi improvvisamente destinati a difficili compiti in terre lontane, si ripropone il senso del sacro e la pietà cristiana come anello che salda passato e presente e allo stesso tempo ribadisce una voglia di futuro che porti soltanto il nome qualche mese, e dopo tante e nuove vicende belliche, quella giornata di sole così poco autunnale ci appare ancor più luminosa, le parole degli alpini e dei celebranti nella Messa al campo in un’affollata piazza Ferretto mantengono tutta la loro attualità.

Anzi, la necessità di una cronaca a distanza offre l’opportunità di liberare il campo dagli aspetti più coloriti per andare al cuore delle cose.

Certo, è importante ricordare l’impegno con cui gli alpini del gruppo di Mestre preparano questa festa che sentono in modo tutto particolare, così come sottolineare la presenza della autorità civili e militari, il gran numero di Sezioni ANA presenti con i loro gagliardetti, accanto alle due Sezioni (Bassano e Lecco, quest’anno) che hanno offerto l’olio alla lampada perenne sull’altare della Madonna del Don ai Cappuccini, la folla che salutava la sfilata lungo le vie del centro di Mestre. Ma si tratta, alla fine, di cose alle quali siamo abituati da anni.

Fa più effetto, semmai, vedere sfilare ancora la Fanfara della Julia, e la guardiamo e la applaudiamo come si guardano e si applaudono i superstiti di una stagione ormai archiviata, increduli che tocchi proprio a noi questa fortuna.

Fa effetto vedere il Presidente nazionale Parazzini sfilare con noi per le strade di Mestre e poi leggere con voce ferma l’atto di affidamento degli alpini alla Madonna del Don. Perché è questo che rende storica questa giornata: mai gli alpini di Mestre e della Sezione veneziana avevano considerato la Madonna del Don una cosa privata, tant’è che ogni anno le Sezioni ANA si ruotavano nel donare l’olio per le lampade voti­ve; ma ora, attraverso le parole del presidente Parazzini, è “tutto il popolo degli alpini di ieri e di oggi” che si è consacrato a una Madre che parla russo nei segni e nei colori della sua icona e parla italiano nelle preghiere e nel ricordo di tante sofferenze.

Né questa consacrazione appare legata soltanto alla memoria della Campagna di Russia, ma contiene in sé una preghiera che guarda al presente e al futuro:

Rendici operatori e costruttori di pace e “vigila (...) in particolare sui nostri alpini impegnati al di là dei nostri confini (...) essi si muovono (...) nell’unica prospettiva della pace”.

Una dichiarazione che ancora una volta segnala la naturale sintonia tra gli alpini e quel popolo italiano che trova modo di dividersi su tutto ma, alla fine, non sui valori fondamentali di pace e di operosa libertà.

Quanto contano le memorie del Don? Tantissimo, come hanno ricordato all’omelia e alla Comunione due redu­ci di quell’epopea, il cappellano militare Medaglia d’Oro mons. Enelio Franzoni e il cappellano della nostra Sezione, mons. Gastone Barecchia.

Contano perché richiamano la follia della guerra, la tragedia di tanti giovani buttati sui campi di battaglia, la necessità sempre presente di lavorare per la pace.

Ma allora, l’orgoglio militare, il valore, l’onore, sono elementi da cancellare? Tutt’altro, perché essi sono, assieme a quel particolare stile di vita che dà l’alpinità, le componenti irrinunciabili dei cittadini in armi. In armi per difendere il proprio Paese, le istituzioni, la libertà, non per aggredire.

E questo il messaggio venuto dalla celebrazione religiosa e da quella militare a unire presente e passato, il Don e l’Afghanistan o qualunque altro territorio dove gli alpini di oggi saranno chiamati ad essere garanti di fragili paci.

Anzi, questa è l’occasione per riscoprire uno spirito di Corpo che le vicende politico-militari dell’ ultimo decennio hanno fatto passare in secondo piano, relegandolo nelle celebrazioni dei reduci.

Se ne fa portavoce il presidente sezionale Nerio Burba durante l’incontro con le autorità cittadine nel Municipio di Mestre: “Non si può sopportare — dice Burba — questo modo schizofrenico di considerare gli alpini, un giorno truppe da smantellare e il giorno dopo reparti di eccellenza da inviare al fronte”.

Richiama Parazzini che aveva denunciato: degli alpini ci si ricorda solo quando c’è da lavorare. Ricorda la specificità degli alpini “l’unico Corpo militare che ha dato vita al servizio civile dei suoi congedati”.

“Gli alpini — dice Nerio Burba — sentono la responsabilità del nuovo impegno militare che è loro richiesto, ma avvertono che questa chiamata è in palese contrasto con la politica seguita da chi, per ristrutturare le nostre Forze Armate persegue il disegno di annientare il Corpo degli alpini. Per questo chiedono, che questa politica cambi radicalmente e che i loro reparti siano rafforzati e messi in grado di fare il loro dovere sempre e non in modo episodico”.

Fin qui il ricordo dei valori affermati dagli alpini in una giornata che resterà unica nella loro lunga storia.

Poi viene la festa, la gioia di ritrovarsi assieme, il rancio che unisce la semplicità dei rapporti di sempre alla gioia rinnovata del rito conviviale.

È l’affetto di una città che si raccoglie in un abbraccio solidale attorno agli alpini rinnovando, anno dopo anno, un naturale patto di solidarietà.

 

 

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