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LA MADONNA DEL DON DEDICATA AGLI ALPINIdi GIANNI MONTAGNI
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È stato un particolare “giorno della memoria” quello che gli alpini hanno vissuto a Mestre all’inizio dello scorso ottobre, nella tradizionale festa, sezionale e cittadina, della Madonna del Don, Né poteva essere diversamente, perché sempre la riflessione sulle vicende del passato assume particolare intensità quando esse vengono svincolate dal libro dei ricordi e ancorate alla attualità quotidiana.
Una dichiarazione che ancora una volta segnala la naturale sintonia tra gli alpini e quel popolo italiano che trova modo di dividersi su tutto ma, alla fine, non sui valori fondamentali di pace e di operosa libertà. Quanto contano le memorie del Don? Tantissimo, come hanno ricordato all’omelia e alla Comunione due reduci di quell’epopea, il cappellano militare Medaglia d’Oro mons. Enelio Franzoni e il cappellano della nostra Sezione, mons. Gastone Barecchia. Contano perché richiamano la follia della guerra, la tragedia di tanti giovani buttati sui campi di battaglia, la necessità sempre presente di lavorare per la pace. Ma allora, l’orgoglio militare, il valore, l’onore, sono elementi da cancellare? Tutt’altro, perché essi sono, assieme a quel particolare stile di vita che dà l’alpinità, le componenti irrinunciabili dei cittadini in armi. In armi per difendere il proprio Paese, le istituzioni, la libertà, non per aggredire. E questo il messaggio venuto dalla celebrazione religiosa e da quella militare a unire presente e passato, il Don e l’Afghanistan o qualunque altro territorio dove gli alpini di oggi saranno chiamati ad essere garanti di fragili paci. Anzi, questa è l’occasione per riscoprire uno spirito di Corpo che le vicende politico-militari dell’ ultimo decennio hanno fatto passare in secondo piano, relegandolo nelle celebrazioni dei reduci. Se ne fa portavoce il presidente sezionale Nerio Burba durante l’incontro con le autorità cittadine nel Municipio di Mestre: “Non si può sopportare — dice Burba — questo modo schizofrenico di considerare gli alpini, un giorno truppe da smantellare e il giorno dopo reparti di eccellenza da inviare al fronte”. Richiama Parazzini che aveva denunciato: degli alpini ci si ricorda solo quando c’è da lavorare. Ricorda la specificità degli alpini “l’unico Corpo militare che ha dato vita al servizio civile dei suoi congedati”. “Gli alpini — dice Nerio Burba — sentono la responsabilità del nuovo impegno militare che è loro richiesto, ma avvertono che questa chiamata è in palese contrasto con la politica seguita da chi, per ristrutturare le nostre Forze Armate persegue il disegno di annientare il Corpo degli alpini. Per questo chiedono, che questa politica cambi radicalmente e che i loro reparti siano rafforzati e messi in grado di fare il loro dovere sempre e non in modo episodico”. Fin qui il ricordo dei valori affermati dagli alpini in una giornata che resterà unica nella loro lunga storia. Poi viene la festa, la gioia di ritrovarsi assieme, il rancio che unisce la semplicità dei rapporti di sempre alla gioia rinnovata del rito conviviale. È l’affetto di una città che si raccoglie in un abbraccio solidale attorno agli alpini rinnovando, anno dopo anno, un naturale patto di solidarietà.
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