La Madonna del DonDal fronte all'ItaliaGli alpini in Russia    
         
   

DAL FRONTE ALL'ITALIA
una commovente pagina di storia degli Alpini

   
   

Una delle più belle pagine di storia  di tutti i cent’anni di vita delle penne nere è quella che ci racconta dell’origine della Madonna degli Alpini , riconosciuta in Italia e all’estero con il nome “Madonna del Don”.

Questa icona diventa viva testimonianza della fede purissima degli alpini, vissuta nelle trincee, nelle gelide ridotte del fronte, negli aspri combattimenti del Don.

Molti giornali e riviste parlarono della madonna del Don pellegrina per le vie d’Italia, dando risalto a questa fede cristallina come le acque sorgenti dalle rocce dei loro monti , ma pochi hanno fatto notare i rapporti umani dei nostri alpini con le popolazioni ucraine che non vedevano nelle penne nere un nemico,  ma il soldato che faceva la guerra senza odio e senza rancore.

La Madonna del Don ha origine da uno di questi episodi di umana comprensione.

Ogni tanto giungeva dalle retrovie frettolosa e scompariva fra le isbe del villaggio, una simpatica vecchietta. Girava tra le macerie delle isbe abbandonate, cercando qualcosa che soltanto lei sapeva.

La guerra era passata per di là seminando disordine e devastazione.

Il villaggio era a due passi dal  nemico accampato sull’atra riva del fiume.

In quella donna ogni alpino vedeva la sua mamma, lasciata nel paese lontano a piangere e a pregare per lui.

Passava in mezzo agli alpini senza timore; li guardava con materna bontà ed il loro “pope” con venerazione e rispetto.

   Non vedete che questa  gente povera e sconsolata se ne va di corsa… Che volete che vengano a fare… hanno qualche straccio tra le rovine —.

Rispondeva il comandante del Battaglione, il Magg. Zaccardo, dal cuore grande e magnanimo a chi gli faceva osservare queste capatine dei russi nel villaggio in prima linea.

Un giorno la donna non tirò diritto, di corsa,  come al solito, ma si fermò davanti al “pope” dalla penna nera sul cappello:

   Non so —  gli disse sottovoce quasi temesse di farsi sentire — non so come mostrarti la mia riconoscenza per tutto il bene che fai alla nostra gente. Là tra le macerie della mia isba c’è una Icone che mi è tanto cara. Vieni, aiutami a levarla, te la dono. Nelle mani tue è al sicuro più che in qualsiasi altro luogo — .

Io sapevo che le Icone della Madonna erano per il popolo russo qualcosa di veramente sacro. Per antichissima tradizione alla figliola che si sposa la mamma, come se fosse un rito sacro singolare, offre una icone, affinché nella nuova isba ne diventi l’angelo tutelare.

Ci incamminammo verso il grosso del villaggio che dà nella balka  che si apre verso il fiume, quando scorsi alcuni alpini farmi segno di attenderli.

Venivano affannati in cerca di me. Arrivarono con il fiato grosso:

   Vieni . C’è una bellissima Madonna laggiù… —, indicandomi un gruppetto di isbe. — Vieni, cappellano. Vieni a prenderla tu — .

Risposi che la portassero nella loro postazione. Sarei andato a vederla più tardi . Gli alpini insisterono:

    Il tenente ha detto che devi venire tu a raccoglierla… —

Mi indicarono l’isba verso la quale mi stavo incamminando con la buona vecchietta. Quale non fu la mia sorpresa quando mi accorsi che l’isba, diventata un cumulo di rovine, era quella della donna e l’Icone, che spuntava da quel groviglio di calcinacci, serramenti e travi era la stessa Icone indicata dagli alpini .

La donna me la consegnò. Mi pareva che le mani le tremassero e la voce fosse rimasta in fondo al cuore…

Quel volto di Madonna mi apparve tanto diverso dalle solite Icone e tanto simile alle belle Madonne dei nostri paesi.

In quel momento mi parve di vedere là presenti , stretti intorno alla Sacra Icone due popoli in guerra tra di loro sentirsi fratelli, uniti nello stesso amore per la Madre di Dio, in un ora di odio e di sangue…

La mia isba ancora risparmiata dalla guerra, poi la ridotta nella Balketta dei Kirpinski diventarono cappella, convegno degli alpini.

Qui la venerata icone ebbe il suo primo altare, in prima linea , vi rimase finché cominciarono a giungere al Comando Battaglione notizie preoccupanti.

I carri armati tedeschi di appoggio alla nostra linea un bel dì scomparvero… ma dall’altra sponda del fiume giungeva a notte piena il rumorio crescente dei grossi cingolati russi.

Il gelo stringeva nella sua morsa la steppa e le sue rovine .

Il Don agghiacciava a prova di bomba. I pattuglioni nemici attaccavano sempre più audaci, spingendosi fin sotto le postazioni. Le rive del fiume rintronavano dagli scoppi degli obici pesanti e del fragore delle Katiuscie.

Un alpino con lo zaino in spalla arriva alla mia ridotta. Spinge la testa entro la porticina  sconnessa:

— Padre, ti saluto. Vado in Italia… aggiunse visibilmente commosso . Ho la mamma che sta male! Prega per lei; le porterò la tua benedizione…—.

Fu un attimo passarmi davanti gli occhi la dolce figura di mia madre… Feci entrare l’alpino. Staccai dalla parete di terra la Sacra Icone e gliela consegnai.  “Ti manda la Provvidenza! Portala a mia madre . Tu hai la fortuna di ritornare in Italia, noi non usciremo da questo inferno. Dille che la custodisca per tutte quelle povere mamme che non vedranno il nostro ritorno: così sarà loro di conforto, perché davanti a Lei hanno pregato i loro figlioli”.

Così partì dal fronte per l’Italia l’Icone, portandosi via il nostro cuore. Non ricordo il giorno, ma penso fosse la metà di Dicembre 1942 quando gli alpini incominciarono a buttare giù pagine di sangue e di eroismo quali nessun reparto ha scritto nell’ultima guerra.

Trascrizione del racconto autografo di Padre Policarpo Narciso Crosara.

   
 

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