Per calcolo politico, nella
primavera-estate 1942, alle Armate germaniche sul Fronte russo del medio Don era
stata affiancata un’Armata italiana di 230.000 uomini della quale faceva parte
il Corpo d’Armata Alpino.
Quest'ultimo era composto dalle divisioni Cuneense, Julia e Tridentina.
Queste Unità, secondo gli accordi, avrebbero dovuto operare sulle montagne del
Caucaso a fianco delle divisioni alpine germaniche. Finirono invece sulla piatta
steppa del Don come Divisioni di Fanteria, incuneate fra gli Ungheresi a Nord e
l’Armata italiana, una Divisione tedesca e l'Armata rumena a Sud, a combattere
un genere di Guerra per il quale erano completamente prive di mezzi adeguati.
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Sentinella del 6° reggimento alpini sul fronte del Don (dicembre 1942)
Il 19 novembre 1942 l’Armata Rossa scatenò
l’offensiva sul Fronte del Don travolgendo alle ali, ungheresi, rumeni e le
nostre divisioni di fanteria.
La Divisione “Julia” fu prelevata dai suoi caldi rifugi sul fiume
Don, sostituita dalla Divisione Vicenza, e spedita ad arrestare e respingere lo
sfondamento russo a sud, a fianco della "Cuneense". Fedeli al motto
"Di qui non si passa", in effetti vi riuscirono per un mese
intero, accovacciati dentro buche scavate in mezzo alla steppa gelata e con un
rapporto di inferiorità di 1:13. Il Settore di Nowo-Kalitwa dove operarono fu l'unico a Nord di Stalingrado dove i russi non riuscirono a
sfondare. La manovra a tenaglia sovietica, purtroppo, pur impegnata
duramente dagli alpini, procedendo in profondità ai lati delle due divisioni,
aggirò alle spalle il Corpo d’Armata Alpino chiudendolo in una enorme sacca.
Le due Divisioni si sacrificarono ancora a Novo-Postojalowka,
dopo aver iniziato la ritirata. In questa località, in più di trenta ore di
combattimento, quattordici battaglioni della "Julia" e della "Cuneense"
(Gemona, Tolmezzo, Cividale, L'Aquila, Vicenza, Val
Cismon, Ceva, Mondovì, Dronero, Borgo S.Dalmazzo, Saluzzo, Pieve di
Teco, III e IV Battaglione Genio) e sette gruppi di Artiglieria Alpina (Udine,
Conegliano, Val Piave, Gruppo Misto, Mondovì, Pinerolo e Val Po) assorbirono
l'urto del nemico nella più grande e sanguinosa battaglia sostenuta dal Corpo
d'Armata Alpino in Russia.
"Julia" e "Cuneense" saranno annientate dai russi a Nowo-Georgiewka
(la Julia, il 22 gennaio) e a Valuiki (la Cuneense,
il 27 e 28 gennaio).
In questo modo alleggerirono la pressione sulla “Tridentina”, che poté
continuare il ripiegamento. I pochi superstiti si aggregheranno alla colonna
guidata dalla Divisione, unica speranza di salvezza, che avanzava combattendo
senza riposo per aprirsi la strada. Una massa imponente di sbandati di ogni
reparto ed esercito, feriti e congelati la seguì per più di 300 Km.
Il percorso della ritirata
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Aprendosi la strada
combattendo, la Divisione, grazie anche al sacrificio delle Divisioni sorelle,
trasformò la ritirata nella più inarrestabile e tragica avanzata in territorio
nemico che si sia mai vista. In condizioni disumane per quanto riguarda cibo e
riparo, con scarsissime munizioni, senza mezzi di trasporto se non slitte
attaccate ai fedeli muli, senza potersi prendere cura dei compagni caduti, con
temperature di 40° sotto zero, gli Alpini salvarono la vita a se stessi e agli
italiani, tedeschi, rumeni, ungheresi che erano con loro.
Una pattuglia Italiana in ritirata durante una breve sosta, si sfama con ciò
che trova. Gennaio 1943
Reparto della Tridentina (marcia dal Don al Donez). Gennaio 1943
La colonna nei pressi di Sceljakino, ove i russi avevano creato il primo grande
sbarramento
alla ritirata, superato al prezzo di gravissime perdite. 21 gennaio 1943
Il mattino del 26 gennaio 1943, dopo 9 giorni di marcia e 25 battaglie di
sfondamento e retroguardia, gli Alpini giunsero all’appuntamento con lo
scontro finale, definitivo: lo sbarramento di Nikolajewka (oggi Malenka Aleksandrowka), l’ultimo “catenaccio sovietico” sulla strada
della salvezza.
Alle 9.30 gli Alpini attaccarono con irruenza e la battaglia si accese subito
violentissima ma l’esito rimase a lungo incerto. I reparti alpini ancora
efficienti cercarono di sfondare, con gravissime perdite, lo sbarramento russo
situato sul terrapieno della ferrovia che precludeva l'accesso al paese. Intanto
il costone che dominava la città, dove si era arrestata la colonna, diventò il
bersaglio delle artiglierie dei controcarri e dell'aviazione sovietiche che
sparavano senza pietà dritto in mezzo alla massa di uomini accalcati, facendone
scempio.
Al calar della sera, il generale Reverberi, Comandante della
"Tridentina", passò all’azione incitando personalmente, dall’alto
di un semovente tedesco, l’ultimo assalto al grido: “TRIDENTINA...!
TRIDENTINA AVANTI..!".
L’avranno udito, forse,
solo alcuni, a pochi metri, ma tutti i veterani di questa battaglia giurano di
averlo sentito. L'alternativa era la fine, la morte nella notte della steppa
congelata.